• Colon

    DIVERTICOLI DEL COLON

    Tra le patologie non neoplastiche del colon la diverticolosi è quella più rappresentata nel mondo occidentale e che più frequentemente richiede l’attenzione del chirurgo. I diverticoli del colon sono nella maggior parte dei casi da pulsione, cioè dovuti ad un aumento della pressione endoluminale del viscere. Il sigma è il tratto di intestino più colpito.

    La causa più frequente è una alterata motilità del colon che riduce la progressione del contenuto fecale lungo il viscere determinando un aumento della pressione sulle pareti dello stesso. Questo fenomeno è sicuramente favorito dalla dieta dei paesi occidentali, povera di scorie, che determina una maggior consistenza ed un minore volume delle feci.

    La sola presenza dei diverticoli in assenza di una sintomatologia è descritta con il termine di “diverticolosi”. Si parla invece di “diverticolite” quando subentra un processo infiammatorio diverticolare con un quadro clinico correlato.

    La diagnosi viene posta mediante:

    clisma opaco
    colonscopia

    Il clisma opaco è una indagine meno fastidiosa per il paziente e più indicata durante la fase di diverticolite. Non consente una visione diretta della mucosa.

    La colonscopia è sicuramente l’indagine più completa. Noi non la proponiamo mai in caso di una diverticolite in atto ma la consigliamo sempre al termine della fase infiammatoria. Inoltre è l’esame migliore per il follow up periodico della diverticolosi.

    Viene eseguita ambulatorialmente, previa adeguata preparazione intestinale, dalla nostra equipe. Il paziente riceve una blanda sedazione che permette di garantire l’assenza dei disturbi tipici di questo esame invasivo.

    La terapia dei diverticoli è generalmente di tipo medico. La nostra gestione del paziente si basa principalmente su due aspetti fondamentali; da una parte l’utilizzo periodico di farmaci antispastici e disinfettanti intestinali per prevenire l’insorgenza di una diverticolite, dall’altra l’impostazione di un regime alimentare e motorio specifico per ciascun paziente che prevengano l’aggravamento della diverticolosi e l’insorgenza di una diverticolite.

    La diverticolite è infatti uno stato patologico temibile perché associato a gravi complicanze come: perforazione intestinale, ascesso, fistolizzazione, occlusione intestinale, emorragia.

    L’indicazione chirurgica al trattamento dei diverticoli si pone in caso di diverticolite complicata (generalmente in regime di urgenza) oppure in regime di elezione durante in periodo di silenzio clinico a seguito di plurimi attacchi diverticolari.

    Le possibile procedure chirurgiche attualmente sono due:

    intervento in 2 tempi: resezione intestinale con colostomia terminale e chiusura del moncone rettale. Successiva chiusura della colostomia e ricanalizzazione.
    intervento in un tempo unico: resezione-anastomosi senza colostomia.

    POLIPI DEL COLON

    Il polipo è una neoformazione sessile o peduncolata aggettante nel lume intestinale. Nel colon retto si distinguono in:

    non neoplastici: non hanno tendenza a cancerizzare
    neoplastici: adenomi tubulari, adenomi villosi e tubulovillosi.

    La diagnosi è radiologica con il clima opaco o endoscopica.

    In caso di polipi non neoplastici la colonscopia offre anche la possibilità di terapia definitiva mediante l’asportazione eseguita durante la procedura stessa.

    Per i polipi neoplastici la terapia è determinata dal risultato dell’esame istologico definitivo. Infatti in caso di adenoma senza segni di cancerizzazione la sola asportazione endoscopica è da ritenersi terapeutica e sufficiante.

    In caso di cancerizzazione del polipo, l’asportazione endoscopica è da ritenersi sufficiente solo quanto la cancerizzazione stessa sia confinata alla sola mucosa e non infiltri il margine di resezione. In caso contrario è indicata la successiva asportazione chirurgica del tratto colico.

    La nostra Equipe esegue regolarmente in regime ambulatoriale la colonscopia per la ricerca di polipi. L’esame è eseguito in sedazione e prevede, in caso di un riscontro, l’asportazione di uno o più polipi. Il materiale viene quindi inviato al patologo per l’esame istologico che sarà disponibile dopo 4-5 giorni. Alla luce dell’esame istologico viene discussa l’eventuale necessità di ulteriori terapie.

    CARCINOMA COLICO

    Il carcinoma del colon retto occupa per incidenza il secondo posto nell’uomo e terzo nella donna. Tra le cause principali si individuano:

    fattori dietetici
    poliposi familiare
    familiarità per il cancro colorettale
    polipi neoplastici
    malattie infiammatorie croniche dell’intestino
    polipi amartomatosi

    La diagnosi di carcinoma del colon viene posta mediante le seguenti indagini:

    (esplorazione rettale)
    retto-colonscopia
    clisma opaco
    TAC addominale

    L’indicazione a tali indagine viene posta alla luce di un quadro clinico che ponga il sospetto di carcinoma del colon. Tuttavia per favorire una diagnosi precoce e pertanto una maggiore probabilità di successo terapeutico, si ritiene fondamentale dopo i 50 anni l’esecuzione di alcuni esami di screening.

    Tra questi il più importante è la ricerca del sangue occulto nelle feci. Il vantaggio de questo esame è sicuramente nella facilità di esecuzione e nell’assenza di controindicazioni. Tuttavia, soprattuto in presenza di polipi del colon, riteniamo che l’esecuzione di una colonscopia ad intervalli regolari (1 o 2 anni generalmente) dia una maggiore garanzia di diagnosi precoce. Si sottolinea come la colonscopia eseguita ambulatorialmente in sedazione non provoca al paziente alcun disturbo.

    La terapia del carcinoma colico è in prima istanza esclusivamente di tipo chirurgico. La scelta dell’intervento e la probabilità di successo è lagato allo stadio di malattia, cioè alla progressione e diffusione del tumore.

    La stadiazione avviene tramite l’esecuzione ambulatoriale dei seguenti esami: colonscopia (ed eventuale ecoendoascopia), TAC torace ed addome(per lo studio dei linfonodi, del fegato e dei polmoni), PET total body.

  • Emorroidi

    Le emorroidi costituiscono un problema frequente nella nostra società. Interessa entrambi i sessi, e si calcola che circa il 60% della popolazione presenta sintomatologia emorroidale durante la vita. Le emorroidi consistono in una dilatazione venosa, cioè vene infiammate localizzate nell’ano o attorno ad esso. Posso provocare malessere, dolore o sanguinamento. Secondo la localizzazione possono classificarsi in interne ed esterne.

    Le emorroidi interne si formano nella parte interiore del retto, in prossimità del condotto anale e solitamente non provocano dolore, tuttavia possano sanguinare. Le emorroidi interne possono uscire dall’orifizio anale, formando quello che si chiama prolasso. Questo può succedere durante la defecazione, anche se dopo la vene prolassata solitamente torna al suo posto. Alcune volte una o più vene prolassate possono continuare nell’esterno dell’ano, e provocare una trombosi o ostruzione del vaso, che succede quando piccoli vasi sanguigni si rompono sotto la pelle, nel margine del canale anale, provocando un coagulo di sangue nelle vene che sono deformate.

    Le emorroidi interne si sub classificano in 4 gradi, a seconda del grado del prolasso:

    Grado 1: non scendono sotto la linea dentata.
    Grado 2: fuoriescono dal canale anale al defecare, e scompaiono con la fine dello sforzo.
    Grado 3: prolassano durante lo sforzo defecatorio ed il paziente deve reintrodurle manualmente.
    Grado 4: le emorroidi sono irriducibili e sono semrpe prolassate.

    Le emorroidi esterne si presentano esteriormente al condotto anale e solitamente sono molto dolorose, specialmente con il progressivo aumentare delle loro dimensioni, essendo rivestite di una pelle molto sensibile. Occasionalmente possono formarsi coaguli (complicazioni conosciute come trombosi emorroidali) nell’interiore di una emorroide esterne, il che provoca un dolore molto intenso. Possono provocare anche bruciore e dolore e sanguinare se cruentate anche lievemente.

    L’ingestione di sostanze come alcol o cibi piccanti, possono produrre emorragie, ed altre complicanze

    Il Emorroidi varia in base alle loro dimensioni ed alla sintomatologia indotta.

    I trattamenti si possono suddividere in:

    Farmacologico

    Ambulatoriale: legatura, scleroterapia, crioterapia, coagulazione, laserterapia

    Chirurgico: emorroidectomia, emorroidectomia e trattamento del prolasso

    Le metodiche chirurgiche risolutive più utilizzate nel Emorroidi sono: la tecnica di Longo (proctopessi mediante graffe metalliche in titanio, Longo/PPH) e la emorroidectomia secondo Milligan Morgan (MM) e la tecnica di dearterializzazione più nota come metodo THD.

    Metodo THD

    Rappresenta un metodo chirurgico molto efficace e mini invasivo per correggere la malattia emorroidaria. Prevede la dearterializzazione emorroidaria transanale doppler-guidata (da cui l’acronimo THD) mediante legatura dei sei rami dell’arteria emorroidaria superiore che determina l’iperafflusso arterioso e la congestione ed il sanguinamento dei cuscinetti emorroidari. Se è presente prolasso muco-emorroidario, come normalmente si riscontra nel III e IV grado della malattia emorroidaria, utilizzando gli stessi punti della dearterializzazione, si procede alla plicatura del prolasso. Sarà poi la fibrosi provocata dal punto utilizzato per la procedura (acido poliglicolico) a fissare definitivamente la mucosa e i cuscinetti emorroidari alla parete muscolare del retto. Il metodo THD riduce al minimo il dolore post-operatorio, in quanto non si interviene al di sotto della linea dentata, sede del dolore somatico. La risoluzione del prolasso è particolarmente efficace in quanto la pessia viene effettuata con tante plicature quante ne necessita l’efficace riduzione del prolasso nel punto trattato. È minimamente invasivo in quanto non taglia né toglie tessuti del canale ano-rettale. Inoltre la minima invasività è anche il motivo per cui non si possono avere complicanze importanti.

    Tecnica di Longo

    E’ una tecnica sperimentata nel 1993 da un chirurgo italiano (Dr. Antonio Longo) ed ha trovato sempre maggiori applicazioni in Italia ed all’estero. Consiste nell’esecuzione mediante suturatrice meccanica di una prolassectomia del tessuto esuberante ed equivale a riportare le condizioni del paziente ad una situazione di normalità: da una parte infatti viene eliminato il prolasso in modo che le emorroidi non possono più fuoriuscire dal canale anale e dall’altra si ripristina una giusta circolazione venosa senza più sanguinamenti. La tecnica, partendo dal presupposto che le emorroidi hanno di per sé una funzione fisiologica importante e non debbano essere tolte bensì riposizionate, interviene nella parte bassa del retto.

    Entrambi gli interventi vengono dai noi eseguiti, in pazienti selezionati, in regime di Day – Hospital garantendo quindi la minore ospedalizzazione possibile grazie alla scarsa invasività chirurgica ed alla corretta gestione domiciliare del paziente.

  • Ernie

    CHIRURGIA DELLE ERNIE DELLA PARETE ADDOMINALE

    L’ernia consiste in un dislocamento di un viscere dalla sua sede originaria. Tale dislocamento avviene tramite una porta erniaria, cioè un punto di lassità di una struttura che delimita lo spazio fisiologico del viscere stesso. La patologia erniaria da noi trattata è principalmente quella della parete addominale. Le sedi più frequenti di ernia della parete addominale sono rappresentate in ordine di frequenza dalle ernie inguinali, crurali, ombelicali e della linea alba. I principi generali della chirurgia delle ernie, qualunque sia la sede, prevedono la riduzione dell’ernia e la riparazione della porta erniaria al fine di evitare recidive. Per riduzione dell’ernia si intende il ricollocamento del viscere erniato nella sua sede fisiologica. La riparazione della porta erniaria consiste nel ripristinare le condizioni fisiologiche originarie della sede di lassità che ha dato accesso all’ernia.
    Tale riparazione può essere ottenuta ricostruendo l’integrità della parete addominale con una plastica chirurgica (tramite punti di sutura) oppure utilizzando delle protesi di materiali sintetico apposito. Le protesi consistono in una rete di dimensioni variabile e di materiabile non riassorbibile che permettono di chiudere e rinforzare la porta erniaria.
    In base alle dimensioni dell’ernia da trattare ed alle condizioni cliniche del paziente l’intervento chirurgico può essere condotto in anestesia generale, in anestesia spinale o in anestesia locale.
    L’anestesia locale è preferibile in caso di ernia singola di piccole e medie dimensioni. Altro elemento determinante nella scelta dell’anestesia sono le condizioni generali del paziente che possono far preferire una anestesia generale (solitamente preferibile nei pazienti cardiopatici) piuttosto che spinale.
    Ernie voluminose o bilaterali richiedono una anestesia generale o spinale a causa della durata maggiore dell’intervento e della necessità di una incisione chirurgica di dimensioni maggiori o duplice.
    Quando l’intervento è eseguito in anestesia locale generalmente il paziente viene dimesso il giorno stesso. Altrimenti la degenza può prolungarsi fino al giorno successivo all’intervento.